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10. marzo 2017

Approvata la legge delega sul reddito di inclusione

Il commento più efficace lo ha fatto probabilmente don Luigi Ciotti. Né trionfalismo, né disfattismo. Un passo in avanti, su una strada ancora lunga. Penso che, in estrema sintesi, si possa valutare in questo modo il passaggio definitivo al Senato della legge delega sul contrasto alle povertà. Ora tocca al Governo emanare i decreti attuativi, annunciati in tempi brevi e, pare, unificati in un unico decreto.

Intanto proviamo ad avanzare qualche semplice considerazione.

Povertà e servizi.

Nell’intervista citata don Luigi dice che si tratta di schizofrenia. Senza scomodare categorie psichiatriche possiamo dire che il primo grande limite della riforma sta proprio nel contemporaneo indebolimento della rete dei servizi sociali sul territorio, conseguente all’annunciato taglio delle risorse - già ampiamente insufficienti – del Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS). Si discute  moltissimo, fra gli addetti ai lavori e le forze politiche, delle diverse opzioni di sostegno al reddito (reddito minimo, reddito di cittadinanza, reddito di dignità, reddito di inclusione, che è appunto la formula adottata dalla legge delega approvata al Senato). Ma almeno su un punto tutte le posizioni convergono: le misure di sostegno al reddito misurano la propria efficacia nella capacità di integrarsi con la rete dei servizi territoriali. Ridurre da 313 a 99,7 milioni di euro il FNPS significa assestare un duro colpo al sistema dei servizi e, pertanto, ridurre l’efficacia del reddito di inclusione.

Povertà e risorse.

La dotazione finanziaria che accompagna la riforma appare cospicua, anche se non ancora sufficiente per coprire l’intera platea delle persone in condizione di povertà estrema. Le cifre non sono chiarissime, perché le varie stime si differenziano a seconda della considerazione, o meno, delle annunciate economie derivanti dal riordino delle prestazioni di natura assistenziale (art. 1, comma 1, lett. b della legge delega) e delle risorse assegnate alla strategia complessiva di contrasto alla povertà a valere sul Pon Inclusione. Prendendo per buone le stime più ottimistiche si tratterebbe di circa 2 miliardi di euro per il 2017 e altrettanti per il 2018. Come è noto, la stima più attendibile del fabbisogno finanziario per una misura effettivamente universalistica è quella avanzata dal gruppo di lavoro di Alleanza contro la povertà, circa 7 miliardi di euro. Saremmo quindi a meno di un terzo del fabbisogno effettivo.

Povertà e comunità.

Ciò detto, andiamo avanti. Da sempre chi si occupa di politiche e servizi sociali è abituato a lavorare in condizioni di inadeguatezza delle risorse. Proviamo a puntare alla gradualità della misura, magari già con l’approvazione del Piano triennale previsto dalla legge delega.

Intanto sarebbe utile fare tesoro delle evidenze che emergono dalla prima applicazione del SIA e, per la Puglia, del ReD, condividendo problemi e criticità in una prospettiva un po’ meno promozionale e un po’ più concreta e operativa. Bisogna allargare il confronto, coinvolgere le comunità professionali, stimolare il protagonismo del terzo settore, sensibilizzare il sistema produttivo locale.

Abbiamo più volte detto, anche su queste pagine, che la misura avrà successo se le persone che ne sono coinvolte, operatori e beneficiari in primo luogo, la percepiranno come un’opportunità concreta piuttosto che adempimento amministrativo o, persino, minaccia. Su questo c’è ancora tanto da fare.

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