
Michele Emiliano ha dunque firmato la proposta di legge sul reddito di dignità, inaugurando, finalmente, la nuova stagione politica della Regione Puglia.
Due premesse non posso omettere, tra le tante che sarebbe necessario esplicitare qui, a commento di questa notizia.
La prima, personale, per trasparenza e rispetto del lettore. Ho un rapporto di amicizia e di stima professionale con alcune delle persone che hanno lavorato a questa proposta. Per mia fortuna la natura di questa relazione contempla, anzi si alimenta del confronto, se necessario anche aspro e critico, ma sempre franco.
La seconda, politica. Il ReD è la prima proposta forte del governo regionale di Michele Emiliano. Questo è un fatto. Che segna in modo inequivocabile la natura della sua azione amministrativa, la rilancia nel quadro politico nazionale, su un terreno – quello della lotta alle povertà - molto impegnativo. Si possono imputare molti difetti a Michele Emiliano. Alcuni li considero seri, per la mia sensibilità politica. Certamente non gli manca il coraggio.
Ma veniamo al merito del provvedimento. Il primo grande nodo della questione sono le risorse. È l’art. 17 della proposta di legge. Su questo tema si misura da sempre la sostenibilità delle proposte di contrasto alle povertà nel nostro Paese. La stima del fabbisogno nazionale è di 5,5 miliardi di euro (Reis, 2015). Cui aggiungere 1,5 miliardi di euro circa, per la qualificazione del sistema di presa in carico, monitoraggio e valutazione: aspetto non secondario, anche per la proposta pugliese, che rinviamo però a un post successivo.
Sette miliardi di euro. Lo stesso valore complessivo della spesa sociale oggi in Italia. Una cifra importante, anche se non impossibile, di fronte alla quale si sono arenate, fino ad oggi, tutte le proposte politiche nazionali di attuazione di un reddito minimo. Su base regionale è possibile stimare, in modo approssimativo, a criteri invariati, un fabbisogno annuo non inferiore a 300 milioni di euro. Tanti. Lo stesso governo Vendola, che pure aveva annunciato simili misure di contrasto alle povertà nel suo programma di governo, ha dovuto arrendersi di fronte all’esigenza di un fabbisogno finanziario tanto importante. Quello delle risorse è un nodo ineludibile.
Diciamo subito che la proposta di legge regionale non scioglie questo nodo. Le risorse ‘nuove’ effettivamen-te assegnate dal Red sono ‘solo’ 5 milioni di euro. Quelli previsti dal comma 2 dell’art. 17, derivanti dalla variazione in aumento degli introiti della tassa automobilistica regionale. Per il resto si tratta risorse derivanti da provvedimenti in larga parte già previsti; risorse comunitarie e nazionali, comunque destinate a interventi d’inclusione sociale. La somma complessiva è rilevante, circa 60 milioni di euro, comunque insufficiente - a mio avviso - a coprire una platea significativa di beneficiari, pur nel quadro della necessaria gradualità prevista nella proposta. La presunta universalità del provvedimento è una mera dichiarazione di principio. La sua applicazione è selettiva, in coerenza con l’ossimoro che regge l’impalcatura istituzionale del sistema delle politiche sociali nel nostro Paese, condannandolo alla marginalità.
Dal punto di vista finanziario, dunque, il ReD aggiunge poco a quello che già era destinato, in forme diverse, alle politiche regionali per l’inclusione sociale. Questo è il limite maggiore del provvedimento, che rischia di limitare il suo potenziale impatto.
Le risorse finanziarie sono importantissime, ovviamente. Ma non sono tutto. È una regola che vale per tutte le politiche pubbliche. Per chi si occupa di welfare vale di più. Se guardiamo al Red da questa prospettiva, i contenuti della proposta di legge sono molto importanti per il sistema di welfare regionale. Il Red ridisegna la strategia regionale di contrasto alle povertà, articolandola in un quadro coerente e unitario.
È questo - a mio parere - il cuore del provvedimento. Non è poco, anzi. È moltissimo. L’efficacia delle azioni territoriali di contrasto alla povertà soffre spesso dell'eccessiva frammentazione degli interventi.
Il ReD riconduce a logica tutti gli interventi, in una cornice coerente con gli orientamenti più maturi delle politiche europee d’inclusione sociale. Per questo merita di essere sostenuta. Con un auspicio. Per qualificare il confronto su un tema così rilevante sarebbe utile partecipare alla discussione con delle proposte, delle integrazioni, dei rilievi puntuali sul merito. Sarebbe davvero un peccato derubricare questa discussione al banale teatrino politico del gioco delle parti.
Infine una prima proposta. Il ReD può essere l’occasione per una radicale azione di riqualificazione delle misure di contrasto alle povertà nella nostra regione, sul versante territoriale. La stima della spesa complessiva dei comuni per contributi assistenziali e sussidi è di circa 15 milioni di euro annui. Anche queste risorse possono essere ricondotte alla strategia regionale, nell’ambito del patto che il disegno di legge propone al sistema delle autonomie locali. Si otterrebbero così due effetti virtuosi: l’integrazione delle risorse con la dotazione derivante dai bilanci comunali, l’innovazione nelle pratiche d’intervento dei servizi territoriali.
Ciò presuppone la contestuale assunzione dell’obiettivo - determinante per l’efficacia del ReD - del potenziamento della capacità di presa in carico delle persone in condizioni di povertà e delle loro famiglie. Un tema cruciale, che riguarda il potenziamento dei servizi, su cui ritorneremo.
(1 continua)
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francesco maiorano (giovedì, 12 novembre 2015 12:50)
Gli argomenti sviluppati sono molto interessanti, il tema vero poco esplorato, ossia parliamo con razionalità molto limitata. Chi sono i poveri, oppure chi sono i nuovi poveri ? i Neet, le giovani coppie, le famiglie con disabili oppure malti gravi /o a termine di vita, i separati che vivono nelle auto, le famiglie che hanno rinunciato al mutuo cedendo la casa, i rifugiati politici, i professionisti caduti in disgrazia, OPPURE quelli individuati dall'ISEE, qualsiasi esso sia, dove si annidano i cosiddetti "professionisti del sociale", che prendono i buoni latti, per poi venderli, (ad a Taranto), o quelli che da vari anni prendono il sussidio casa, e no riescono ad uscire mai, vedi il caso martina franca, o tanti disoccupati cronici, a reddito zero, che spesso lavorano in nero, chissà se sono poi "caporali" o altre leve di vite malavitose... La nuova povertà non sta nella vecchia povertà.