
Con la prima riunione del partenariato istituzionale si è avviato oggi il lavoro preparatorio del nuovo Piano Regionale delle Politiche Sociali della Regione Puglia. Una breve discussione per presentare il quadro complessivo dei vincoli e delle opportunità che la programmazione sociale regionale si trova ad affrontare, nella contingenza di un quadro nazionale estremamente frammentato. Ad una dotazione finanzaria cospiscua, derivante dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) e dal Piano di Azione e Coesione (PAC), destinata agli interventi a favore degli anziani e della prima infanzia, corrisponde una rilevante criticità su tutte le altre aree d’intervento, solo parzialmente coperte dalle risorse di bilancio regionali e comunali. Ad oggi, inoltre, non appare ancora del tutto chiaro il livello d’integrazione delle procedure che saranno individuate dai diversi livelli di governo nazionale per ricondurre alla necessaria unitarietà la programmazione territoriale in materia di politiche sociali e sociosanitarie.
Insomma, un bel caos. Ed è difficile pensare che l’incertezza politica e istituzionale venuta fuori dalle elezioni politiche possa contribuire a fare chiarezza, almeno nel tempo breve.
Il rischio maggiore – dal punto di vista amministrativo – è forse quello di appesantire il sistema delle autonomie locali di vincoli e procedure insopportabili per chi già duramente messo alla prova da anni di blocco del turn over e tagli del personale. Tanto che l’Assessorato Regionale al Welfare ha già indicato la necessità, anche di concerto con l’ANCI regionale, di accompagnare questo processo con diversi programmi di assistenza tecnica dedicati.
Ma a ben guardare si evidenzia anche un rischio maggiore, almeno a parere di chi scrive. La crisi economia e finanziaria del Paese, e del Mezzogiorno in modo particolare, sta già cambiando il nostro sistema di welfare. Crescono in misura significativa le aree di povertà, anche nelle fasce giovanili, cresce la domanda di salute legata al progressivo invecchiamento della popolazione. Piuttosto che guardare a questi fenomeni nella loro dimensione strutturale, individuando misure di tipo universalistico, gli interventi nazionali in materia di welfare si frammentano per competenza e applicazione, in barba al buon senso, prima ancora che al dettato costituzionale. Un’impostazione che costringe le regioni ad inseguire le opportunità finanziarie sul terreno delle disposizioni ministeriali, piuttosto che costruire - con la necessaria autonomia politica e culturale - il proprio modello di welfare. Una sorta di neocentralismo di ritorno, fuori tempo massimo.
Questo dato, davvero preoccupante, è confermato dal paradosso - sul quale ancora poco si è riflettuto - che le risorse straordinarie destinate al sistema regionale di welfare, per effetto di queste misure aggiuntive, siano dieci volte maggiori di quelle ordinarie. E’ facile immaginare che se dovesse prevalere questa impostazione il welfare che verrà somiglierà molto, inevitabilmente, a quello che disegneremo nella ricerca esasperata di un’improbabile razionalità amministrativa tra i grigi acronimi dei decreti ministeriali. Un rischio grande, che va evitato.
Come? E’ questa, a mio parere, una delle domande che deve accompagnare questo nuovo ciclo di programmazione. Una domanda intorno alla quale stimolare un’ampia partecipazione, vera, profonda. Un confronto collettivo sul destino del nostro sistema di welfare. Qualche indicazione le dirigenti regionali l’hanno data, poco ascoltata, per la verità, già nel dibattito di questa mattina: quando hanno indicato la centralità del tema dell’accoglienza, delle relazioni comunitarie, del capitale umano, per il welfare pugliese dei prossimi anni. Un tema che andrebbe ripreso e rilanciato, costruendoci sopra l’identità dei nostri servizi e delle nostre pratiche.
Ecco, se posso dirlo così, ciò di cui abbiamo bisogno per affrontare al meglio questo impegno è che le politiche sociali ... tornino al sociale.
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Beppe Chiapperino (venerdì, 01 marzo 2013 20:36)
Un riflessione che condivido in pieno.
Stamane ho colto poca consapevolezza autentica da parte degli interlocutori istituzionali, non in grado, mi è parso ancora una volta ma stamane anche maggiormente di un pensiero autonomo . Poi, come al solito, gli argomenti seppur importanti dell'integrazione sociosanitaria, no vengono raccontati bene dai rappresentanti ASL che appaiono non solo in conflitto tra di l,oro (vedi ASL Bari) ma soprattutto verso il loro stesso Assessorato, da sempre "fantasma" in questa importante Commissione. Infine questo spazio del sociale che riflette sul sociale e se ne riapprorpia consapevolemente incontra, a mio modesto parere, l'ostacolo di un cronoprogramma poco "amichevole".
AmCandela (sabato, 02 marzo 2013 00:33)
Beppe io credo che si possa considerare poco amichevole il crono programma solo se si pensa che il decorso regionale viene inteso come onnicomprensivo e assorbente di tutte le riflessioni utili e necessarie sulle questioni profonde poste dall'articolo. In realtà sarà molto interessante vedere se dopo l'esercizio, sia pure partecipato, a livello regionale, sul territorio i circa 6 mesi di programmazione di Ambito potrà diventare l luogo per eccellenza per entrare nel merito ed evitare equilibrismi citabili - amministrativi, per lasciare invece il posto alla bozza del disegno d welfare che verrà.
Damiano Maggio (sabato, 02 marzo 2013 09:08)
Chi mi conosce sa bene Il mio pensiero riguardo alle politiche sociali che devono ritornare al sociale. Lo sostengo da diversi anni. Secondo me, se la sfida è questa e la vogliamo raccogliere non c'è altra strada che "lavorare" a livello di massima prossimità sia con i comuni che con il terzo settore (in particolare con le associazioni di volontariato).
Daniela Agrimi (domenica, 03 marzo 2013 19:35)
La mia impressione, come operatore sanitario, è che manchi l'esperienza di un dialogo tra sanità e sistema del welfare, gli ambiti sono separati, se non segregati. L'esercizio della cittadinanza, ad oggi, è l'unico strumento d'interazione ed d'integrazione proponibile, ma il confronto con le istituzioni è asimmetrico. Il volontariato organizzato trova spazi sono su impegni isorisorse, è una discriminante che privilegia altre economie del terzo settore.
Cristina (lunedì, 04 marzo 2013 09:22)
ma se il sociale deve tornare al sociale significa che dichiariamo persa, chiusa, fallita l'integrazione socio-sanitaria? sono d'accordo con chi afferma che l'investimento migliore possibile che si possa fare nella programmazione attuale è quello sul capitale sociale, vale a dire su un'idea di sviluppo eterodiretta, capace di auto-rigenerarsi interpretando le esigenze del luogo specifico e attualizzando le risposte.
Cinzia Pizzutilo (mercoledì, 06 marzo 2013 10:36)
Io, giovane, inesperta e certamente poco consapevole delle reali dinamiche che possono determinare equilibri, policy, ma nel mio piccolo condivido le preoccupazioni e capisco che gli spiragli sono possibili solo a determinate condizioni.
Il sociale che torna al sociale per RItrovare il suo reale target, sostenendo quei principi già dettati anni or sono da normative che dovevavo segnare il passaggio ad un nuovo modo di far politica/progarmmazione sociale.
Mi riferisco alla sussidiarietà che probabilmente tutti noi, quindi non solo i nostri governatori, abbiamo un attimino tralasciato, per concentrarci su quello che oggi sembra essere il problema determinante: assenza di fonti e risorse sufficienti (economiche e umane, strutturali e organizzative). È vero, questa situazione c’è e sarà forse ancora più netta alla luce della trasformazione (crisi) che il paese sta provando a superare in questo periodo, ricercando il suo nuovo equilibrio.
Spesso si dimentica di tutto quell’universo che è concretamente attivo in ciascuna realtà, del capitale sociale che quasi “naturalmente” viene prodotto, sobbarcandoci invece solo di atti, documenti, procedure burocratche infinite...
Ma occorre un impegno e una flessibilità, una maggiore concertazione tra TUTTI, un riconoscimento reciproco, un’apertura mentale, un gioco di intenti, la volontà di tutti che conduca a nuove forme di gestione dell’intero sistema che è cambiato e ha nuovi bisogni; mi chiedo, quindi, se non sia possibile fronteggiare il tutto, se non sia possibile essere “illuminati” in questo lungo percorso di riprogrammazione sociale, dall’etica, da quei valori cardine che ci spingono vs il sociale.
Una nuova modalità gestione dei fondi è per me auspicabile, come anche diventa fondamentale impostare una nuova gestione del sistema qualità.
Pellecchia Paola (martedì, 12 marzo 2013 08:50)
Il dibattito qui intrapreso è interessante .La velocità di trasformazione delle istanze da parte dei cittadini, l'impellente necessità di adattare con la stessa velocità le risposte istituzionali del welfare , a mio modestissimo avviso dovrebbero più che mai oggi obbligare gli operatori socio-sanitari tutti ad adottare sistemi di welfare flessibili e a forte connotazione di programmazione prossemica alle esigenze di un determinato territorio; intendendo per territorio non quello regionale o provinciale , ma locale , perchè no anche distrettuale o addirittura zonale. Il tutto mantenendo i pincipi di fondo e gli obiettivi prioritari generali dettati dalle funzioni regionali.E' uno sforzo notevole questo cui gli operatori sarebbero chiamati ma penso , sulla base delle ultime valutazioni esperenziali e dell'aumento esponenziale di richieste , diverse da quelle pensate e programmate anche solo un anno prima , che così facendo si potrebbe determinare l'immediatezza delle risposte a problematiche nuove ed emergenti, evitando eccessivi burocraticismi ed impossibilità di accesso per intere fasce di popolazione ,in alcuni contesti sociali e territoriali.
Franco Ferrara (domenica, 23 giugno 2013 11:22)
A distanza di 3 mesi vorrei conoscere lo stato dell'arte in merito alla programmazione del nuovo piano di welfare.