
Lo scorcio di legislatura che volge al termine, caratterizzato dalla presenza del governo tecnico, sta seminando - penso si possa affermarlo ormai con relativa certezza – una profonda delusione, anche tra quanti avevano guardato con moderata fiducia e tiepido ottimismo al profilo delle competenze impegnate nella responsabilità di governo, sul versante delle politiche socioassistenziali.
La recente intervista al Sottosegretario Maria Cecilia Guerra, raccolta da Emanuele Ranci Ortigosa per il numero estivo di Prospettive Sociali e Sanitarie, lo evidenzia in modo chiaro.
La riforma dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), pur necessaria, non è sufficiente - al di la della valutazione di merito - a render conto dell’impegno del governo; per tacere della ennesima sperimentazione (sic) di una misura di contrasto alla povertà, con la revisione della social card (50 milioni di euro, per le città con popolazione superiore ai 250.000 abitanti: in Puglia, solo Bari!). Tanto che il buon Ranci è costretto ad arrampicarsi sugli specchi, non me ne vorrà certamente se lo evidenzio, nella ricerca di definizioni un po’ artificiose (sperimentazione evolutiva) nel disperato tentativo di attribuire un barlume di senso ad operazioni tecnicistiche che non spostano di un metro la sostanza delle questioni. Che resta quella della strutturale marginalità delle politiche sociali nel nostro sistema di protezione sociale.
E’ facile rispondere alle prevedibili obiezioni di quanti, difensori ad oltranza della presunta neutralità delle scelte di questo governo, ci ricorderanno delle esigenze di contenimento della spesa pubblica, del rischio di default del nostro sistema Paese, della crescita pericolosa dello spread, e di tutte le altre solide argomentazioni che hanno sostenuto alcune delle scelte economiche e sociali dell’ultimo anno. Ragioni sacrosante, probabilmente, che ma che crollano miseramente di fronte all’evidenza dei numeri. La spesa per i servizi sociali, in Italia, è tra le più basse d’Europa: il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, al suo massimo storico, nel 2007, era di 1,2 miliardi di euro, poco oltre l’1 per cento (uno per cento, non è un errore) del Fondo Sanitario, lo 0,5 per cento della spesa previdenziale. Oggi quel capitolo del bilancio dello stato è pressoché azzerato.
Si poteva e forse si doveva risparmiare, come appunto è stato fatto, sul versante previdenziale e sanitario, ma non era difficile - anzi era doveroso, a parere di chi scrive - indicare la strada della riforma necessaria, l’eterno problema dell’anomalia del nostro sistema di welfare. Tema al quale, non appaia irriverente ricordarlo, Maria Cecilia Guerra ha dedicato una parte rilevante dei propri brillanti studi, nella sua vita precedente.
In Puglia gli effetti della riduzione drastica delle risorse disponibili per i servizi sociali non si avvertono ancora del tutto, in virtù della prudente distribuzione delle risorse sulle diverse annualità dei Piani Sociali di Zona programmata dall'Assessorato regionale al welfare. Questa scelta, combinata con le risorse derivanti dal Piano di Azione Coesione, che riserva alla Puglia circa 180 milioni di euro, per le aree della prima infanzia e della non autosufficienza, attenua gli effetti dei tagli e consente, ancora una volta, un moderato ottimismo almeno fino al 2013/2014.
Resta il rammarico profondo di aver perso un’occasione, nel quadro generale di riforma del nostro sistema di tutele sociali, per segnare un punto a favore di un riequilibrio complessivo della nostra spesa per il welfare. Evidentemente la giustizia sociale non è materia per tecnici.
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Pier Paolo Inserra (lunedì, 17 settembre 2012 21:10)
Caro Piero,
sono d'accordo con te. A patto che insistiamo anche su un altro punto, che ingenuamente abbiamo messo da parte nel dibattito sulla crisi e la riduzione delle risorse destinate al welfare. Il punto è che neanche prima eravamo in una situazione ottimale. Il miliardo e 2 di cui parli tu riferendoti al fondo sociale, rappresenta solo minimamente le risorse necessarie per avere un welfare dei diritti e dell'accoglienza oggi in Italia. Non esiste classe dirigente in grado di azzardare, in un'ipotesi postcapitalista, scenari futuri diversi e un investimento maggiore sul welfare locale e sulle politiche sociali. Ma c'è anche della beata ignoranza: non si capisce che investire in un certo modo su servizi e interventi mirati vuol dire ottimizzare le risorse e risparmiare soldi della comunità. DI esempi potremmo farne decine....
Saluti.
Emanuele Pepe (lunedì, 17 settembre 2012 21:36)
Le cose che pensi e scrivi sono, come al solito, condivisibili, equilibrate e veritiere, ma mi piacerebbe da morire che qualcuno (compreso me) riesca ad andare oltre...
In uno scenario politico-istituzionale che, nonostante i tecnici, sta pericolosamente convergendo verso un sistema di decisione pubblica all'americana (inteso come mera mediazione tra gruppi di interesse), la mia domanda è: come possiamo riuscire a fare pressione perché finalmente ci si adoperi ad una reale riforma del welfare italiano? Continueremo a fare semplici denunce piú o meno mediatiche?
O ancor di piú: é giusto che anche noi addetti ai lavori proviamo a diventare un "gruppo di pressione" o una lobby tra i tanti? Noi che vorremmo una società "universalistica"? Per difendere gli interessi di chi? Minori, disabili, anziani, dipendenti patologici, disoccuppati, donne?
A queste domande non sono i ministri tecnici a dover rispondere, ma noi... O no?
Beppe Chiapperino (lunedì, 17 settembre 2012 22:19)
Caro Piero,
le osservazioni sono assolutamente condivisibili.Sicuramente la giustizia sociale non è materia per tecnici. Per questi tecnici poi che sono espressione dei poteri forti, delle banche e forse anche delle lobby militari non toccati nelle loro spese folli (vedi F35). Sono pessimista soprattutto pensando proprio agli studi di Cecilia Guerra, esponente di quella scuola che ha espresso politici/tecnici come Alfonsina Rinaldi, braccio destro della ex ministra Livia Turco e che insieme hanno partorito la 328. Forse bisognerebbe riportare, evidenziare, difendere e valorizzare quello che è successo nei giorni del meeting Ambrosoli a Capodarco nel contro meeting di SBILANCIAMOCI, espressione di un altro modo per uscire dalla crisi e promotori di pensieri e di azioni che danno importanza al welfare locale. Beppe
Felice Di Lernia (lunedì, 17 settembre 2012 22:22)
Sottoscrivo tutto, se mai ce ne fosse bisogno...
Hai parlato della Guerra, ma vogliamo parlare anche di Riccardi? e dell'ex maestro di strada Rossi Doria?
Chi si aspettava che dal pedigree "sant'egidiano" del Ministro scaturissero cose di un certo livello è rimasto gravemente deluso per via della grande insipienza politica che lo ha caratterizzato: nemmeno la capacità di segnare una qualche discontinuità col passato, soprattutto con Giovanardi. Nulla. Nemmeno la capacità di dare, in controtendenza con le logiche faraoniche della burocrazia italiana, un segnale di sobrietà ammettendo che la conferenza nazionale sulla droga (prevista dalla legge) si poteva organizzare anche senza spendere milioni e milioni di euro che non ci sono...
Non credo siano venute meno di colpo le competenze di queste persone: credo non sia stata sufficiente la passione ad arginare lo tsunami di realismo borghese di questo governo, pieno di Marie Antoniette che invitano a mangiare brioches, di questa gente fuori dal mondo più di qualunque pessimo politico, di questi banchieri che non possono sapere che il welfare, la ricerca, la cultura, l'istruzione sono il più grande investimento infrastrutturale che esista.
Non è bastata, la loro passione, neanche a prendere le distanze e ad andarsene.
Alessandro Catena (lunedì, 17 settembre 2012 22:43)
Questo è un paese nel quale da dieci anni, almeno , non c'è crescita industriale, nel quale a nessuno ma veramente a nessuno governo interessa combattere l'evasione fiscale ( elettoralmente controproducente...) dove la spesa sociale, culturale e per la scuola sono sempre state assolutamente marginali (il consenso non si ottiene investendo li il denaro pubblico) e dove la spesa sanitaria è cresciuta essenzialmente per rispondere agli interessi dei tanti che grazie ad essa sono diventati ricchi.
Emanuele Università (martedì, 18 settembre 2012 01:54)
Grazie Piero per le tue riflessioni che, come tanti amici e colleghi che hanno scritto, condivido anche io in pieno.
Il punto però è quello che solleva, con la sua solita irriverente sagacia, il buon Pepe. Che fare?
Il primo commento, poi, ci fa riflettere sul fatto (e lo scriveva quache tempo fa la Saraceno) che in Italia non abbiamo mai avuto una cultura del welfare inteso come servizi e politiche sociali, per dirla in due parole parafrasando un vecchio adagio "non è che quando 'stavmo meglio' stessimo poi così bene". 1,2 miliardi sono più di zero ma sono, come sai una goccia nel mare.
Rispetto al governo dei professori, poi, io, lo confesso, ero proprio tra quelli che avevano salutato l'arrivo di Super Mario e co. con moderato entusiasmo. Pensavo "è gente che usa la testa, potrà fare cose di un certo livello anche osando un po' rispetto a chi deve pensare a non perdere voti". Oggi sono deluso. Hanno svolto il compitino (importante per carità) ma a noi servono rivoluzioni, servono giganti... e putroppo in giro vedo troppi nani.
Non ce la faccio, però, a cedere al pessimiso e mi dico, studiamo, ragioniamo, battiamoci perché a partire dalla nostra Puglia e poi in Italia possiamo provare a disegnare parabole diverse. E' dura, durissima, ma è l'unica strada che vedo di fronte alla resa incondizionata.
Al lavoro amici!
Buona notte.
Daniele Ferrocino (martedì, 18 settembre 2012 09:54)
Ma forse non è il caso di farsi abbattere dalla tristezza!
Certo i governi tecnici non possono esaltarci, ma forse possono rappresentare uno stimolo a reagire con azioni profondamente "politiche".
Credo infatti che bisogna operare un mutamento profondo e la crisi può rappresentare l'occasione migliore per farlo. Essa rende evidente in quale baratro siamo precipitati con le nostre costruzioni sociali ed istituzionali. Costruzioni che non solo non operano per rendere più liberi e sicuri i cittadini, ma anzi accrescono meccanismi di sottomissione e deprivazione in cui ciascuno diventa vittima. Se impariamo a guardare all'uomo ed alle sue profondità, ci rendiamo facilmente conto ch'esso non può essere ridotto a quel ridicolo burattino che si arrabatta per soddisfare i meccanismi sociali, economici ed istituzionali oggi imperanti. L'uomo è molto di più di ciò che viene ingabbiato nelle varie definizioni di “cittadino”, “lavoratore”, “imprenditore”, “pensionato”, “volontario” ….
Se guardiamo alla vita intima delle persone, percepiamo subito quali sono i veri valori e le vere relazioni che, presenti in embrione nell'animo di ognuno, non aspirano ad altro che a manifestarsi e realizzarsi pienamente e definitivamente nella vita sociale! È nell'animo umano che possiamo trovare quelle energie che non solo ci possono fare uscire dalla crisi, ma anzi ci possono portare a trasformare quelle sovrastrutture che, allo stato attuale, ci rendono schiavi in noi stessi e schiavi gli uni degli altri.
L'uomo non vuole essere, ma soprattutto nel suo intimo non può essere, quello che le attuali condizioni economiche, sociali, giuridiche ed istituzionali lo costringono ad essere. Bisogna finalmente riconoscere che la nostra “civiltà”, ci costringe a crescere ed a vivere secondo norme e processi che non hanno alcun riscontro con quanto costituisce la nostra natura profonda di esseri umani: forse è proprio in questa costrizione che risiede l'origine di ogni crisi. E allora pensare ad una società che si costruisca piuttosto come una “comunità”, un sistema cioè di relazioni in cui gli umani possano esprimere liberamente tutte le bellezze che hanno nell'animo, probabilmente è questo il modo migliore per uscire non solo dalla crisi attuale, ma da tutti quei meccanismi che inevitabilmente finiscono per renderci prigionieri tristi delle nostre stesse costruzioni sociali.
Daniele Ferrocino (martedì, 18 settembre 2012 10:08)
Scusate, ma nell'invio è saltata l'ultima parte del mio commento. Eccola:
Perchè allora non lanciare un movimento "politico" che abbia che abbia come propria modalità di azione e proprio orizzonte la felicità delle relazioni sociali?