
Nel post del 15 luglio ho presentato una prima sintetica lettura dei dati finanziari relativi all’attuazione del Piano sociale di zona di Bari, evidenziando la tenuta complessiva del sistema di welfare della città capoluogo, nonostante i tagli ai trasferimenti per le politiche sociali (e più in generale per la spesa degli enti locali) attuati con le diverse manovre governative finalizzate al contenimento della spesa pubblica. Quella che segue è una tabella, contenuta nella relazione sociale 2012, che mostra l’evoluzione della spesa programmata per il welfare dal comune di Bari, negli anni compresi tra il 2004 ed il 2011.

Vediamo adesso nel merito alcuni dati che rinviano direttamente ai servizi realizzati con il Piano sociale di zona.
Un primo dato interessante è quello riferito al servizio sociale professionale, nelle sue diverse articolazioni, dal segretariato sociale alla presa in carico vera e propria. Il servizio è presente in modo capillare sul territorio cittadino, nelle diverse circoscrizioni, e nel 2011 ha avuto un numero considerevole di utenti (5.664 per il segretariato sociale e 1.075 per il servizio sociale professionale). Il servizio coinvolge ben sessantasei assistenti sociali. Si tratta di un numero rilevante che pone la città di Bari ai primi posti - e non solo in Puglia - nel rapporto assistenti sociali/popolazione. La città capoluogo dispone di un assistente sociale ogni 4.800 cittadini circa. Si consideri che le diverse proposte di legge nazionali, anche quelle avanzate dall’ordine degli assistenti sociali, fissano tale rapporto in Italia, nella logica dei livelli essenziali di assistenza, in un assistente sociale ogni 5.000/10.000 abitanti.
Naturalmente si potrebbe fare molto per migliorare la qualità del servizio, a cominciare dall’opportunità di dotarlo in un coordinamento unico, peraltro necessario ai sensi della normativa regionale vigente; di potenziarne l’operatività, anche con dotazioni informatiche più adeguate; di condividere e uniformare adeguatamente modalità e procedure operative nelle diverse circoscrizioni. Ma più di ogni altra cosa, a ben vedere, sarebbe utile e necessario che il servizio sociale professionale di Bari si percepisse come una vera e propria comunità professionale, capace essa stessa di produrre punti di vista, riflessioni e proposte sul sistema di welfare della città capoluogo. Sessantasei operatori che quotidianamente intercettano i bisogni e le domande di assistenza dei cittadini baresi rappresentano un enorme potenziale di conoscenza e intervento, che andrebbe valorizzato, a vantaggio dell’intero sistema locale di welfare. Chi conosce bene le dinamiche dei servizi della città di Bari afferma che il primo ostacolo alla valorizzazione del servizio sociale professionale sono gli stessi assistenti sociali, per la loro cronica incapacità di fare squadra, di sentirsi parte, appunto, di un’unica comunità professionale. Probabilmente ciò è vero. Al tempo stesso credo che sarebbe molto interessante, anche professionalmente, provare a reagire a questa situazione e tentare di costruire, in modo condiviso, un percorso di lavoro comune per il servizio sociale professionale di Bari, teso a disegnare un’identità collettiva viva e partecipe al dibattito pubblico sul welfare cittadino.
Il sistema del welfare d’accesso della città di Bari si è potenziato, negli ultimi anni, con l’attivazione della PUA (Porta Unica di Accesso), rivolta all’utenza dell’area dell’integrazione sociosanitaria, a cominciare da quella non autosufficiente. Si tratta di un servizio che, a oggi, è riuscito a trovare una felice integrazione tra sistema pubblico e privato sociale, anche per merito degli operatori che coordinano e lavorano nel servizio. La relazione sociale indica un’utenza di circa 1.000 persone per il 2011, ma è facile stimare un progressivo aumento di questo dato nei prossimi anni. La nota dolente della PUA di Bari si registra sul versante sanitario, con le difficoltà che hanno i tre distretti cittadini a coordinarsi tra loro e offrire un fronte comune di operatività al servizio. Si tratta di una conseguenza, minore ma non meno rilevante, del più ampio problema di efficacia della governance che investe l’Azienda Sanitaria barese, anche per effetto delle sue dimensioni.
In sintesi: nel dato finanziario complessivo, sostanzialmente positivo, il Piano sociale di Bari presenta un importante investimento sul welfare d’accesso. Il servizio sociale professionale e gli altri servizi dell’area presentano numeri importanti, sia dal punto di vista dell’utenza, che degli operatori impegnati nei servizi. Un potenziale che però non riesce a esprimersi pienamente, per diverse ragioni, ognuna delle quali può essere considerata utile pista di lavoro per i prossimi anni. (2. Continua)
Il post precedente sul welfare della città di Bari
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Franco Ferrara (lunedì, 30 luglio 2012 12:54)
Se ho capito bene i dati esposti nel grafico la spesa pro-capite a Bari supera 50€ è lontana dalla spesa delle Regioni Lomabadia e Veneto che viaggia su 111 €. Forse la Regione dovrà comunicarci la spesa pro-capite per ongi Ambito. ti pare? ciao.
Piero (lunedì, 30 luglio 2012 14:09)
Ciao Franco. Il grafico si riferisce alla spesa programmata che, per esempio nel caso dei trasferimenti regionali del 2010, è impegnata dal comune di Bari nel 2010, ma liquidata nel triennio successivo.
La Regione certamente comunicherà la spesa pro-capite dei diversi Ambiti, non appena sarà possibile elaborare i dati del monitoraggio finanziario appena raccolti.
rocco matarozzo (lunedì, 30 luglio 2012 16:25)
Ciao Piero. Con la tua solita delicatezza hai saputo evidenziare i punti dolenti della inefficienza del servizio sociale. Benchè il rapporto assistente sociale/popolazione sia superiore a quella ritenuta ottimale, qualcosa non funziona. Mancano i soldi? può darsi! ma come ben hai detto occorre che tra gli assistenti sociali si svolga una rivoluzione culturale: quella di abbandonare l'impulso individualista e,ripeto, come hai detto tu, "far squadra". Ma, soprattutto, è necessario saper cogliere le opportunità che vengono dal territorio, utilizzare le risorse, convogliarle verso obiettivi prefigurati. Ho infatti l'impressione, (ma è più che una impressione!)che ci sia molta dispersione di energia e potenzialità come quando si naviga a vista, si va avanti alla giornata.
Adriana Canuto (martedì, 31 luglio 2012 09:11)
Carissimo Piero, mi chiedo cosa dobbiamo fare perchè tu sia ascoltato!? Eppure la comunità professionale degli A.S.ti stima! E allora, se cambiamenti non se ne intravedono dopo tanto che lo dici e lo scrivi, qualche problema ci sarà!!?? E' una malattia? Si può individuare e debellare?
Piero (martedì, 31 luglio 2012 17:47)
Ciao Adriana, grazie per l'attestazione di stima. C'è anche una questione più ampia della vicenda di Bari, che riguarda l'identità stessa del lavoro sociale, e le sue debolezze, che pesa sui processi di cambiamento, frenandoli. E' un tema che mi sollecita molto, come sai. Ci tornerò su, presto. Grazie e buone vacanze!
Cinzia Gangale (venerdì, 03 agosto 2012 11:15)
ciao Piero, leggo e "sento" il tuo tono e la carica energica che metti nel fare il tuo lavoro. Agli A.S. sociali suggerisco di fare un percorso sulla "identità professionale" (magari con metodo autobiografico!) perchè come un disegno ad acquarello, permette di riconoscere le sfumature che danno identità alla macchia di colore.
Buon lavoro e buone ferie.
Marilina Miacola (mercoledì, 08 agosto 2012 11:25)
Ciao Piero, ti rispondo da protagonista, nonchè da Assistente sociale e da Consigliere del nostro Ordine Regionale.La constazione del mancato senso di appartenenza alla comunità professionale avvertito dalla nostra categoria è sicuramente un dato di fatto più o meno diffuso. Da cosa dipende? Sono tante le variabili, ma credo che non sia solo una questione di categoria: in questo mi permetto di rimarcare il lavoro impegnativo che questo Consiglio dell'Ordine sta portando avanti per la formazione continua che vede tutti gli assistenti sociali, senior e junior chiamati a formarsi non più per volontà personale, ma come dovere deontologico.Naturalmente questo non basta, probabilmente la necessità non è solo quella di avviare un cambiamento culturale della professione, ma anche di una riorganizzazione interna dei nostri uffici che richieda una formazione ad hoc anche del personale amministrativo e della classe dirigente che spesso mal interpreta il nostro ruolo o tante volte lo disconosce.
Inoltre un'esigenza molto avvertita da noi professionisti è la supervisione: il quotidiano lavoro sul territorio merita uno spazio di confronto fra gli operatori per elaborare casi e vissuti con l'ausilio di un esterno alle dinamiche lavorative che spesso incancreniscono i rapporti generando così conflitti e sempre più individualismo.
Inoltre, a mio parere è necessario avviare una campagna di comunicazione che "rieduchi" l'opinione pubblica e le istituzioni alla conoscenza del nostro lavoro: chi è cosa fa l'assistente sociale. Tante volte è proprio l'intangibilità del nostro operato che genera confusione e non consente alla professione di radicarsi nella sua identità. A questo secondo me si aggiunge il mancato riconoscimento scientifico delle discipline di servizio sociale nell'ambito universitario, ove il nostro corso di studi nasce come costola di facoltà storiche che forniscono docenti di materie affini ma non specifiche.
Però concludo che noto con rammarico come spesso venga messo in evidenza il negativo di noi assistenti sociali: naturalmente poi come in tutte le categorie c'è chi crede nella professione e chi meno.Siamo sicuramente in tanti colleghi che giorno per giorno operano per la crescita della professione, ottenendo anche se con fatica e sottraendo del tempo anche alla vita privata dei piccoli risultati migliorativi: chi ci crede vede sempre il bicchiere mezzo pieno!
Scusa la prolissità, ma trovo il tema posto di grande interesse che merita sicuramente un approfondimento.Buone vacanze Marilina Miacola
pierodargento (lunedì, 20 agosto 2012 11:34)
Ciao Cinzia, grazie per il tuo bel commento. A presto.
pierodargento (lunedì, 20 agosto 2012 11:36)
Ciao Marilina, ti rispondo solo oggi, al ritorno dalla vacanze. Hai ragione, non si tratta di una questione di categoria, ma lo statuto identitario del lavoro sociale, in generale, in Italia, è molto debole. Tutte le indicazioni che tu dai sono molto utili e sarebbero necessarie. Avremo altre occasioni per riparlarne. Grazie per l'attenzione con cui segui le mie riflessioni. A presto.